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Florovivaisti sulla strada della sostenibilità

Florovivaisti sulla strada della sostenibilità

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Anche alle aziende florovivaiste incamminarsi sulla strada della sostenibilità può solo fare bene. È il mercato che lo chiede, tanto è vero che i dati dimostrano come solo le imprese green riescono a crescere, esportare, dare lavoro. Una ricerca UnionCamere/Symbola evidenzia come il 44% delle aziende manifatturiere che fanno eco-investimenti esporta stabilmente, contro il 24% di quelle che non investono. C’è poi un dovere morale, ma è anche è anche questione di convenienza: adottare sistemi di energia alternativa piuttosto che sistemi di efficienza energetica o uso efficiente di materie prime porta in una serra economie di scala interessanti. Durante il workshop che Edizioni Green Planner ha organizzato a MyPlant & Garden, Giovanni Giusiano di Bit (technical advisor che offre supporto tecnico-amministrativo e consulenza finanziaria per progetti di sviluppo e investimento nel settore agricolo; agroalimentare e ambientale) ha evidenziato come tutti i progetti che portano a ridurre i costi aziendali e gli impatti ambientali oltre a rispettare le policy europee sono altamente bancabili. E tra i nuovi modelli produttivi secondo Giusano vince il comparto dell’agricoltura protetta (serre in vetro, serre in plastica, tunnel e tunnellini) che oggi si trova a operare in un mercato internazionale caratterizzato da una costante evoluzione rispetto sia alla richiesta dei consumatori per le garanzie di food safety e sia alla necessità di ridurre i costi energetici per la climatizzazione delle serre. Tanto più che nel nostro Paese solo l’energia utilizzata per il condizionamento delle serre incide per circa un 20-30% sul costo totale di produzione, mentre in paesi come la Francia risulta avere un incidenza del 12-14%. Da valutare quindi l’adozione di una soluzione che genere calore con l’uso della biomassa e che secondo quanto riporta AIEL (associazione italiana energie agroforestali) porterebbe a risparmi di energia tra il 10/18% in termini di distribuzione del calore e ancora del 10/15% per quanto riguarda l’ottimizzazione di un impianto di riscaldamento. “Adottando una caldaia a pellet (al momento unica biomassa che gode della certificazione di prodotto), in meno di 5 anni” calcola Luca Barbieri, product manager di Hoval “è possibile avere il ritorno degli investimenti. Anche perché oggi il prezzo della biomassa è competitivo rispetto al gasolio e Gpl con prezzi stabili nel medio lungo periodo. A ciò va aggiunto il calcolo delle sovvenzioni e contributi diretti: conto termico, certificati bianchi e scheda 40E che però al momento è in revisione”. Unico accorgimento: valutare disponibilità di spazio per la collocazione della centrale termica (generatore di calore e puffer di accumulo) e del deposito di combustibile. Ma in campagna lo spazio non dovrebbe essere un problema. Per affrontare adeguatamente la concorrenza anche le certificazioni energetiche e ambientali possono dare una mano. Anche a fronte di alcuni clienti (la grande distribuzione per esempio) che ormai la richiedono di default. Daniele Villoresi di Obiettivo Meno una divisione di E-Cube ha sollecitato l’attenzione sull’importanza (forse un giorno non lontano dovere di legge come avviene ora per settori industriali) di affrontare la propria pianificazione energetica (ISO 5001) per poi valutare interventi quali la sostituzione dei corpi illuminanti con soluzioni tecnologicamente più efficienti; la sostituzione dei motori elettrici con motori ad alta efficienza, il recupero del calore dai fumi, la sostituzione dei compressori degli impianti frigo con tecnologie più efficienti. Altro fronte altra scelta è rappresentata dalla ISO 14064 che porta l’azienda a calcolare la propria Carbon Footprint cui si può aggiungere anche quella di progetto (ISO 14064 -2) o di prodotto (ISO 14067).di M. Cristina Ceresa da Greenplanner magazine

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